Le strategie di internazionalizzazione delle imprese di Milano e Torino nei mercati in cambiamento

Rapporto di analisi doppio logo Assolombarda Unione Industriali di Torino.

Questo rapporto di analisi nasce dagli stretti rapporti di collaborazione - consolidati negli ultimi anni - tra Assolombarda e Unione Industriale Torino, e dalla volontà delle due Associazioni di condividere una politica associativa comune sul tema dell’internazionalizzazione valorizzando il patrimonio conoscitivo originale:

  • sulle modalità di presenza sui mercati esteri e le direzioni geografiche di sviluppo rilevati dall’Indagine Assolombarda sui processi di internazionalizzazione;
  • sui livelli di costo del lavoro e sulle normative vigenti nei principali Paesi oggetto dell’Indagine Internazionale dell’Unione Industriale di Torino.

In questo studio, che vuole essere solo il primo di una collaborazione destinata a proseguire nei prossimi anni, si è partiti dall’analisi della serie storica dei dati delle due indagini nel periodo 2002-2010, esaminando in parallelo l’evoluzione delle partecipazioni estere di imprese italiane e quelle di imprese estere nel nostro Paese censite dalla Banca Dati Reprint, che da anni monitora questo fenomeno.
L’obiettivo per il quale, con questo studio, si è voluto mettere queste “conoscenze” a fattor comune è ambizioso: offrire alle imprese informazioni utili a decidere sulla propria internazionalizzazione e - per quelle già presenti sui mercati internazionali - indicazioni a supporto delle scelte sulle direzioni geografico di sviluppo.

1.    Gli Investimenti Diretti Esteri in uscita delle imprese italiane

Grazie alla capacità di radica¬mento nelle nuove economie emergenti, che hanno tassi di crescita da tre a quattro volte superiori a quelli delle economie mature, le Imprese Multinazionali (IMN) svolgono un ruolo fondamentale nel processo di allineamento alla globalizzazione del siste¬ma economico e produttivo di un Paese.
L’analisi delle informazioni contenute nella Banca Dati Reprint relative al periodo 2002-2010 dimostra che le IMN italiane - la banca dati ne censisce quasi 7.000 nel 2010, tra le quali spiccano per numerosità quelle milanesi (874) e torinesi (316) - hanno partecipato al più recente ciclo di espansione degli IDE, quello avviato nel nuovo millennio e conclusosi con la crisi finanziaria del 2007-2008.
Protagoniste di questo processo sono state, nella fase iniziale, imprese minori e gruppi di media dimensione, con operazioni inevitabilmente di taglia ridotta (secondo i parametri in-ternazionali); in questa prima fase l’ambito geografico in cui sono stati effettuati gli investimenti è stato principalmente circoscritto all’Unione Europea e al Mediterraneo, con qualche importante escursione verso i Balcani e le aree russa e africana.
Negli ultimi anni, tuttavia, sono emerse nuove tendenze.
Dopo anni di stagna¬zione, il biennio 2007-2008 ha fatto segnare una ripresa delle iniziative, che ha coinvolto anche e soprattutto le maggiori imprese italiane. Ancora più importante, nel 2009 e nel 2010 è stata rilevata una sostan¬ziale tenuta di questo processo: nono¬stante la crisi economica e finanziaria internazionale, non sono avvenuti rile¬vanti disinvestimenti esteri, e anzi sono state osservate alcune iniziative che hanno dimostrato la capacità delle nostre medie e grandi imprese di saper cogliere importanti opportunità di crescita sui mercati internazionali.
Importanti mutamenti sono stati registrati anche per quanto riguarda i settori di attività e i paesi target:

  • dal punto di vista settoriale, sono cresciuti gli investimenti dei servizi, mentre in passato le imprese italiane avevano prevalentemente curato il mercato nazionale;
  • dal punto di vista geografico, le nostre PMI guardano con sempre maggior interesse alle opportunità di sviluppo multinazio¬nale, anche su mercati lontani e con maggior coraggio rispetto al passato. Le nuove iniziative di investimento si dirigono sempre di meno verso l’Unione Europea, ormai spesso considerata “mercato domestico”, e sempre più verso i grandi mercati emergenti, che - dopo una breve pausa - hanno ripreso a crescere a tassi assai elevati: i BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) innanzitutto, ma anche la Turchia, le altre “tigri” del sud-est asiatico e dell’America Latina. Non ultimi, gli Stati Uniti d’America, dove il rinnovato interesse delle imprese italiane va considerato alla luce del fatto che finora la presenza diretta delle imprese italiane è stata assai modesta, se comparata a quella delle altre imprese europee.

Queste tendenze, se proiettate nel futuro, sembrano prefigurare per il nostro Paese la possibilità di raggiungere una presenza all’estero più simile a quella dei suoi maggiori partner internazionali, sia per tipologia dei protagonisti, sia per direttrici geografiche dell’investi¬mento.

2.    Le strategie di internazionalizzazione delle imprese milanesi e torinesi

Le informazioni raccolte tra il 2002 ed il 2010 dall’Indagine Assolombarda sui processi di internazionalizzazione confermano la notevole apertura del nostro sistema di imprese ai mercati internazionali: sono numerose le aziende, soprattutto PMI, in cui il valore delle vendite all’estero è superiore a quello del mercato italiano.
La recessione internazionale, che ha manifestato i suoi primi effetti negativi sulle nostre imprese nel 2009, ha solo rallentato il trend di lenta ma costante crescita della percentuale di fatturato esportato, che già nel 2010 era tornata sui livelli del 2007 (47%), riavvicinandosi al picco del 2008 (49%).
Le esportazioni sono il canale più diffuso di presenza all’estero, nel 2010 utilizzato dal 96% delle aziende internazionalizzate. Ma l’integrazione nelle filiere internazionali non avviene solo come fornitrici di prodotti e/o servizi: sono sempre di più le aziende milanesi e torinesi che acquistano materie prime e semilavorati da fornitori esteri. Un trend, quello dell’accostamento ai mercati internazionali per l’approvvigionamento, che non si è arrestato nemmeno con la crisi.
I vicini Paesi dell’Unione Europea rappresentano i principali mercati di sbocco per le nostre imprese: lo erano all’inizio del periodo esaminato, si confermano tali nel 2010.
Dopo il 2008, però, l’interesse verso questi mercati maturi diminuisce e, al contempo, le nostre imprese aumentano la presenza nei mercati lontani come Cina e India, adattandosi all’evoluzione della geografia economica. Allo stesso modo cresce l’interesse per i Paesi del Mediterraneo.
Le imprese italiane - e quelle milanesi e torinesi in particolare - hanno dimostrato una notevole capacità di adattamento ai cambiamenti indotti dalla crisi, come conferma il confronto tra le indicazioni strategiche rilevate dall’indagine alla vigilia della crisi e 24 mesi dopo.
Tanto nell’ottobre 2008 quanto nell’ottobre 2010 la Cina era il più citato tra i paesi verso i quali le nostre imprese intendevano orientare i propri investimenti nel triennio successivo. Ma nelle posizioni di rincalzo l’elenco dei paesi è cambiato in questi due anni: le intenzioni di sviluppo si sono spostate verso mercati come India, Brasile e USA ed è cresciuta l’attenzione verso i Paesi del Mediterraneo (e la Turchia in particolare).
Solo un’impresa su tre ha portato a termine, in tutto o in parte, il piano strategico elaborato alla vigilia della crisi: le altre hanno deciso di adattare le direttrici di sviluppo, o sono state costrette dai cambiamenti a farlo.
In questo panorama di profondi cambiamenti il sostegno del Sistema Paese è essenziale per le nostre imprese che si affacciano sui mercati internazionali, e può concretizzarsi attraverso il supporto alla ricerca dei fornitori, partners, agenti e distributori esteri, l’organizzazione di eventi promozionali all’estero e la consulenza (legale, fiscale, ecc.) nelle transazioni internazionali.
Le aziende internazionalizzate milanesi e torinesi possono contare sui servizi offerti dalle Associazioni aderenti a Confindustria, ma anche lo Stato può fare la sua parte, rimuovendo le inefficienze che penalizzano la competitività delle imprese italiane rispetto ai principali concorrenti.

3.    Il costo del lavoro e le normative del lavoro in Cina, India, Brasile e Turchia.

Con la globalizzazione e la crescente competizione internazionale, le imprese sono costrette ad intensificare la propria presenza all’estero se vogliono rimanere sul mercato.
La scelta di entrare nei mercati internazionali è però molto complessa, dato che comporta profonde modifiche nell’azienda sotto molti aspetti: struttura ed organizzazione tecnica, mix di prodotti, posizionamento sul mercato, assetto finanziario, risorse umane, capacità produttiva, ecc.
L’Indagine Internazionale dell’Unione Industriale di Torino mette a disposizione - per i Paesi di maggiore interesse - dati di confronto sui livelli di retribuzione e di costo del lavoro, sulla prestazione lavorativa e sul grado di competitività esistente.
L’approfondimento condotto sul periodo 2002-2010 permette di confrontare l’evoluzione nel tempo dei dati aziendali con quelli medi del paese di insediamento nei quattro Paesi per i quali emerge il maggior interesse per futuri investimenti delle aziende associate, ma dove già ora si rileva una forte presenza italiana: Cina e India per le enormi potenzialità del loro mercato, il Brasile per gli importanti eventi sportivi che ospiterà nei prossimi cinque anni, la Turchia per sua posizione strategica che ne fa la “porta d’ingresso” per la parte più facoltosa del Medio Oriente.
Tra le condizioni che hanno attirato l’attenzione delle imprese nel percorso della globalizzazione emerge in particolare la flessibilità della prestazione lavorativa con orari settimanali ricompresi tra le 42-44 del Brasile  e le 48 dell’India e di alcune zone della Cina e il costo orario del lavoro pari in media a 2,2 €/h in Cina, 1,2 €/h in India, 8,1 €/h in Brasile e 9,6 €/h in Turchia. Tali valori sottendono tuttavia differenziali molto ampi tra gli importi minimi e massimi di costo, determinati dalle specifiche condizioni di sviluppo interno. È ancora opportuno ricordare che le ottime performance economiche dei quattro paesi hanno comportato un’accelerazione della dinamica dei costi che nell’arco del primo decennio del secolo sono raddoppiati o triplicati. Conseguentemente, per le imprese sono sorte nuove problematiche, legate a rivendicazioni salariali sempre più frequenti che, ad esempio nelle aree più ricche della Cina, hanno fatto lievitare il costo di alcuni profili professionali fino ai livelli dei “colleghi occidentali”.
Nell’analisi dei Paesi viene infine esaminato l’andamento di alcuni “determinanti ambientali di performance”, fondamentali per valutare la capacità competitiva e la convenienza ad investire per le imprese.

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