Discorso di Carlo Bonomi, Presidente di Assolombarda, in occasione dell’incontro con Maria Elisabetta Alberti Casellati, Presidente del Senato Dichiarazione

Discorso di Carlo Bonomi, Presidente di Assolombarda, in occasione dell’incontro con Maria Elisabetta Alberti Casellati, Presidente del Senato

Monza, 17 maggio 2019

Carissima Presidente del Senato,

voglio esprimerLe innanzitutto a nome di tutti i colleghi imprenditori associati in Assolombarda la nostra più viva gratitudine per l’elevata funzione che svolge nell’ambito delle Istituzioni della Repubblica.
Siamo molto lieti di poterLa incontrare oggi, in un giorno in cui nell’ambito dei suoi molti impegni ha voluto incontrare e conoscere più da vicino alcune delle eccellenze imprenditoriali del nostro territorio, impegnate a testa bassa nel costante sforzo di migliorare non solo i nostri risultati economici come imprese, ma innanzitutto ben consapevoli che la funzione dell’impresa è quella di essere un motore insostituibile della coesione sociale. La creazione di reddito e di lavoro passa insostituibilmente attraverso l’impresa, da secoli nella nostra Grande Milano e in Lombardia l’imprenditore è un attore primario di un modello che integra e attrae, evolve nelle sue specializzazioni ed è campione dell’export italiano nel mondo, crea incessantemente nuovi mix di specializzazione in settori decisivi del nostro made in Italy, investe in ricerca e fa evolvere le competenze che nel mondo globale sono sempre più richieste per realizzare una crescita sostenibile, rilevante e duratura.
Ma la prima cosa, Presidente, che Le voglio sottolineare in questo breve indirizzo di saluto e ringraziamento da parte nostra, è una caratteristica essenziale che per noi tutti viene prima di ogni legittima e personale opinione politica, e che rappresenta un fondamento dell’idea stessa di coesione civile di un Paese avanzato e democratico.
Mi riferisco, signor Presidente, al senso delle istituzioni come casa comune di tutti gli italiani, cittadini e residenti chiamati a riconoscersi nel patrimonio di valori, princìpi e regole definite nel nostro ordinamento.
L’articolo 54 della nostra Costituzione fissa per noi tutti l’obbligo di fedeltà alla Repubblica, e il dovere di rispettarne Costituzione e leggi.
Ho sempre pensato che questo articolo andrebbe riscoperto, rispetto a tanti altri sui quali l’evoluzione del dibattito politico e tra partiti ha innumerevoli volte posto l’attenzione nei decenni.
Fedeltà alla Repubblica significa tenere sempre alto il rispetto che le istituzioni devono essere in grado di alimentare e suscitare nei cittadini.
Contribuire in prima persona ogni giorno a rafforzarlo, per chi è impegnato nei più delicati incarichi istituzionali e di governo.
E sentirsi impegnati a consolidarlo anche dal basso, da parte di tutti i cittadini, cominciando anche da noi stessi imprenditori chiamati ogni giorno ad operare in una complessa intersezione di norme e precetti talora gravosi e non di rado molto gravosi, ma sapendo sempre distinguere la piena libertà di chiederne la modifica, rispetto al persistente dovere di rispettarli quando sono vigenti.
La legalità di un Paese è un moto circolare: decade e degenera se gli attori pubblici, dall’alto come dal basso, si ritengono portatori di una sorta di facoltà discrezionale a disottemperarvi.
Possono sembrare cose scontate, cara Presidente.
Ma Lei, come noi, sa bene che da anni in Italia non lo sono affatto.
Ed è primariamente per questo che in molti ranking internazionali delle condizioni favorevoli o ostative al fare impresa, a creare reddito e lavoro, l’Italia si trova molto indietro rispetto ai nostri partner e concorrenti sui mercati mondiali.
Voglio ricordare a noi tutti che l’avvocato Casellati, all’atto della sua elezione alla Presidenza del Senato, ottenne un riconoscimento che è molto rilevante ai fini del principio che ho appena ricordato.
In quel giorno, il 24 marzo 2018, sul nome del Presidente Casellati si registrò infatti a Palazzo Madama la più ampia convergenza di voto registrata sin dall’inizio della cosiddetta Seconda Repubblica, nel 1994.
Un mandato così ampio non è solo innanzitutto il segno evidente della più alta considerazione personale verso i meriti del Presidente prescelto.
Ma anche espressione di un turno elettorale che nella composizione delle assemblee parlamentari rendeva arduo comporre equilibri di governo coerenti a come le diverse forze politiche si erano presentate al giudizio degli elettori in alleanze contrapposte o identitariamente in solitudine.
L’intera legislatura in corso ne è stata politicamente segnata, per le scelte diverse che i partiti hanno fatto rispetto a quelle che avevano illustrato agli elettori.
Ma non dimentichiamo che anche la legislatura precedente era iniziata con l’impossibilità iniziale di trovare una ampia convergenza istituzionale sul nome del Capo dello Stato, e si dovette fare ricorso a una conferma a tempo del Presidente Napolitano alla quale egli era il primo ad aver manifestato indisponibilità.
A maggior ragione, dunque, l’ampia convergenza che ha portato alla Sua nomina, caro Presidente, costituisce per noi un valore da difendere.
Ormai dal 2008 l’Italia si trova a dover fare i conti con formule di governo a pieno titolo legittime, ma che non devono il proprio mandato a un coerente ed esplicito mandato elettorale espresso dai cittadini, in termini di alleanze scelte anzitempo e in quanto tali premiate dal voto dei cittadini.
È una storia complessa, quella delle leggi elettorali susseguitesi, che non hanno saputo evidentemente conciliare formule tali da allineare il diritto-dovere alla governabilità, qualità essenziale per un ordinamento di un Paese avanzato, con l’irrompere sulla scena politica di forze nuove dal forte carattere identitario.
È un fenomeno che negli anni ha attraversato e colpito orizzontalmente l’intero Occidente.
Dalla presidenza Trump nata dalla sconfitta dei candidati alla Casa Bianca sia del candidato democratico sia di quelli espressi nelle primarie dai repubblicani, alla Brexit che ha messo in ginocchio Conservatori e Laburisti, alla Francia di Macron di En Marche, anche i più consolidati sistemi istituzionali ed elettorali dell’Occidente pagano in questi anni un prezzo pesante alla divergenza tra governabilità che chiede convergenza, ed espressione di pulsioni identitarie di massa che la rifiutano.
Ecco perché, per noi che siamo imprenditori interessati prioritariamente a un quadro di regole efficaci e stabili che ci consentano al meglio di programmare e realizzare i nostri impegni al servizio della crescita e del lavoro, preservare i valori comuni delle Istituzioni rispetto ai toni divisivi della lotta politica ha finito per rappresentare un patrimonio sempre più intaccato, e dunque sempre più da difendere.
Noi per primi, nella nostra azione di rappresentanti del mondo delle imprese, ci siamo trovati in questi anni e in questa delicata stagione italiana - tra spread che risale, imponenti clausole automatiche di aggravi fiscali, taglio degli incentivi alle imprese, quando proprio grazie ad essi aveva preso forza la ripresa italiana - a dover esprimere nei confronti del governo giudizi anche molto critici, e a chiedere ripetutamente inascoltati appelli a un energico cambio di marcia.
Ma lo abbiamo fatto e lo facciamo, cara Presidente, sempre ricordando a noi stessi che per primi siamo tenuti al dovere di distinguere i toni riservati alle misure assunte o cassate dalla politica, rispetto al totale rispetto dovuto alle Istituzioni della Repubblica.
Ho dedicato a questo punto una delle parti centrali dell’intervento che pronunciai all’atto della mia assunzione della Presidenza di Assolombarda, e rimango fedele a questa impostazione.
Per questo non ci piacciono per esempio le polemiche a volte aspre che la politica riserva alle nostre forze dell’ordine e militari, alle competenze dei presidenti di Senato e Camera, alle prerogative che nel nostro ordinamento sono assegnate all’ordine giudiziario e alle autorità indipendenti di mercato e di settore.
Polemiche irresponsabili che talvolta hanno anche lambito il Quirinale.
Se e quando le forze politiche vengono meno al dovere del rispetto delle istituzioni, diventano esse stesse fattori primari che contribuiscono a minare la fiducia degli italiani, la fiducia delle imprese, la fiducia dei mercati.
Mi pare, purtroppo, che questo sia divenuto nel tempo un aspetto costitutivo della distanza che separa agli occhi del mondo ciò che davvero sappiamo fare, rispetto alla percezione dell’Italia che hanno i nostri partner e alleati.
E ne derivano a cascata una serie di conseguenze negative: maggiori difficoltà per la nostra politica estera e di sicurezza, per la nostra posizione in Europa e nella NATO, per grandi accordi commerciali e industriali che le nostre imprese – anche quelle con posizioni di riconosciuta eccellenza mondiale nei settori in cui operano – faticano di più a sottoscrivere rispetto a quelle di altre grandi nazioni dell’Occidente.
Ecco perché, cara Presidente, ci tenevo particolarmente a ringraziarla.
Tutti coloro che, come Lei, operano nelle Istituzioni preservandone lo spirito di convergenza sugli interessi nazionali e continuando ad aver chiara la distinzione essenziale tra ciò che è delle Istituzioni e ciò che è dei partiti, sono per noi presìdi viventi della fedeltà alla Repubblica e del rispetto dell’articolo 54 della Costituzione.
Grazie vivissime a Lei, dunque, per aver voluto essere oggi qui con noi.

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