Milano capitale del lavoro di qualità

L’80% degli occupati possiede almeno un diploma di maturità e i laureati rappresentano il 37% della forza lavoro, con punte del 55% nel settore dei servizi.

Milano, 3 luglio 2012 – L'area milanese dispone di un mercato del lavoro di qualità: qui si concentra una folta élite professionale, la partecipazione femminile è ampia e qualificata, i livelli di scolarizzazione sono elevati. Nel 2011, in un quadro economico peggiorato a causa delle tensioni sui mercati finanziari e del progressivo rallentamento dei tassi di crescita dei Paesi Emergenti, il bilancio occupazionale ha sostanzialmente tenuto. Il saldo tra le assunzioni, avvenute prevalentemente a tempo indeterminato, e le cessazioni che per oltre la metà sono state volontarie per effetto di dimissioni o pensionamento è stato debolmente negativo (- 0,4%). Il sistema, inoltre, ha recuperato efficienza, grazie al progressivo riassorbimento delle ore di Cassa Integrazione e al contenimento del fenomeno delle assenze. Le politiche retributive decise dalle imprese, infine, hanno consentito a salari e stipendi di tenere, nel 2011, il passo dell’inflazione.

Questi i principali risultati che emergono dall’Indagine sul mercato del lavoro dell’area milanese condotta dal Centro Studi di Assolombarda su oltre 700 imprese associate che occupano 150 mila lavoratori nelle provincie di Milano, Lodi e Monza e Brianza. La ricerca, realizzata nell’ambito dell’Osservatorio Assolombarda sulle Risorse Umane, è stata presentata oggi nel corso di un convegno tenutosi presso l’Auditorium Gio Ponti a cui sono intervenuti, tra gli altri, Antonio Colombo, Direttore Generale Assolombarda, Marco Taisch del Politecnico di Milano, Maria Raffaella Caprioglio Vicepresidente di Umana e Alberto Meomartini, Presidente Assolombarda.

20120703_Lavoro_3“Le capacità delle nostre imprese”, ha dichiarato il Presidente di Assolombarda Alberto Meomartini, “si basano principalmente sulla qualità delle nostre persone. Milano è la città della produzione e delle intelligenze. Il nostro territorio ha un capitale umano straordinario che non si trova da nessun altra parte e un tessuto di imprese, soprattutto piccole e medie, dotate di eccellenze, che hanno saputo costruire competenze e business anche in questi anni difficili”.

 

 

Ma vediamo nel dettaglio i risultati emersi dall’indagine del Centro Studi Assolombarda.

Milano capitale del lavoro di qualità
Il quadro del mercato del lavoro nell’area milanese nel 2011 vede confermate - e, per certi versi, rafforzate - le caratteristiche che ne contraddistinguono l’elevata qualità. Innanzitutto la notevole concentrazione di personale con funzioni ad alta intensità di conoscenza: la quota di “colletti bianchi” (dirigenti, quadri e impiegati) sfiora l’80%, raggiungendo un picco del 93% nel settore dei servizi, ma registrando livelli rilevanti anche nell’industria (73%). Si tratta di una composizione della forza lavoro che dipende dalla scelta di molte imprese multinazionali di localizzare in questo territorio i loro headquarters.
L’attrattività dell’area milanese, da questo punto di vista, è favorita dall’intenso livello di scolarizzazione dei lavoratori milanesi: quasi l’80% possiede almeno un diploma di maturità e i laureati, in particolare, rappresentano il 37% della forza lavoro, con punte del 55% nel settore dei servizi.
Un altro fattore che caratterizza il mercato del lavoro dell’area milanese è l’ampia e qualificata partecipazione femminile: le donne rappresentano oltre un terzo della forza lavoro e nel tempo la loro presenza è cresciuta più rapidamente proprio tra le qualifiche a maggior contenuto professionale, vale a dire dirigenti e quadri.
L’occupabilità delle donne è certamente favorita dal diffuso utilizzo del part-time che, in questa importante area economica assume le caratteristiche di un vero e proprio strumento di conciliazione vita-lavoro: nel 98% dei casi è, infatti, nella forma di contratto a tempo indeterminato. Non casualmente questa forma di flessibilità organizzativa, che raggiunge la massima diffusione nelle realtà aziendali più piccole, risulta in crescita.
20120703_LavoroChe il rapporto di lavoro a tempo indeterminato nella realtà milanese rappresenti la norma può essere affermato anche più in generale: riguarda infatti oltre il 90% dei dipendenti. Non è sorprendente che, in un contesto professionale dominato dalla presenza di risorse high skilled, la priorità per le imprese sia trattenere le proprie.
La flessibilità è comunque presente, in varie forme. In particolare, l’apprendistato sembra riscuotere un crescente apprezzamento da parte delle imprese: il peso di questo contratto nei flussi in entrata è ben superiore a quello rilevato nella struttura degli organici.

Il bilancio occupazionale 2011 (quasi) in pareggio
Nel 2011, in un quadro economico peggiorato a causa delle tensioni sui mercati finanziari e del progressivo rallentamento dei tassi di crescita dei Paesi Emergenti, le imprese milanesi hanno ridotto i loro organici dello 0,4%. Rispetto ad altri contesti del nostro Paese, nell’area milanese possiamo parlare di una sostanziale tenuta: un risultato che si deve soprattutto all’elevata internazionalizzazione delle nostre imprese, che - in un contesto di domanda interna stagnante e di lento sviluppo del Vecchio Continente - stanno riposizionando le loro attività verso i mercati più lontani e ad alta crescita.
Lo spaccato di flussi di occupazione in entrata e in uscita fornisce ulteriori elementi. Nonostante l’incertezza della congiuntura, ad esempio, nel 2011 è aumentata, rispetto all’anno precedente, la quota di assunzioni a tempo indeterminato. Per il reperimento delle nuove risorse le imprese hanno attinto soprattutto dal “mercato esterno”, mentre è stato fatto minor ricorso al “serbatoio interno” rappresentato dai contratti flessibili. Il tasso di conversione (ovvero la percentuale di contratti trasformati sul totale di quelli in essere all’inizio dell’anno) è infatti leggermente sceso, dal 41,8% al 40,6%.
20120703_Lavoro_4Per quanto riguarda le cessazioni, l’indagine rileva che, in quasi la metà dei casi, sono avvenute per effetto di dimissioni volontarie: una causale, cioè, che è lecito collegare al cambiamento del posto di lavoro indotto da nuove opportunità lavorative. La quota di dimissioni volontarie arriva al 60% nei contratti di apprendistato, e supera il 90% nei contratti di inserimento: dati che sembrano suggerire come queste forme contrattuali costituiscano, per molti lavoratori, un primo ed utile step del processo di evoluzione professionale.
Indubbiamente le ristrutturazioni hanno comportato anche dolorose procedure di licenziamento: è però interessante notare come, tra le imprese che hanno dovuto ricorrere a riduzioni di personale, una su quattro abbia offerto servizi di outplacement ai propri lavoratori.

Caute le previsioni per il 2012
Le imprese milanesi prospettano organici sostanzialmente stabili nel primo scorcio del 2012. Per molte (23,8%) è la conseguenza di ristrutturazioni già avvenute nel 2011; viceversa, in altri casi (21,3%) si tratta della sospensione di un processo di crescita condotto negli ultimi 12 mesi.
Nonostante l’incertezza dell’attuale fase economica, non mancano i casi di imprese che prevedono di assumere nuovi lavoratori nel 2012, dopo aver già ampliato i loro organici nel 2011. Questo scenario positivo ha riguardato l’11,3% delle imprese che hanno collaborato, mentre i casi più critici - quelli di chi prevede riduzioni di personale dopo averne già effettuati lo scorso anno - sono meno frequenti (7,2%).

Diminuiscono Cig e assenze, così il sistema recupera efficienza
Nel 2011 è diminuito il monte-ore lavorato, ma solo per l’“effetto calendario” che ha ridotto, rispetto al 2010, i giorni lavorativi e quindi le ore potenzialmente disponibili (-32 ore): il calo delle ore effettivamente lavorate è stato di sole 5 ore per addetto.
20120703_Lavoro_graficoIl sistema ha quindi recuperato efficienza, grazie al minor ricorso alla Cig (fenomeno rilevato dall’indagine in linea con la generale tendenza registrata dall’INPS a livello nazionale), all’utilizzo solo parziale del monte-ferie a disposizione da parte dei lavoratori milanesi (2 giorni in meno) e all’oggettivo ridimensionamento del fenomeno delle assenze.
Il tasso di assenza si è collocato al 6,3%: solo 2 anni fa, nel 2009, era arrivato al 7,7%. A livello di qualifica, è aumentato tra i quadri, ma si è ridotto tra gli impiegati e, soprattutto, tra gli operai.
Pur confermandosi la malattia non professionale (fra gli uomini) e i congedi parentali (tra le donne) come principali causali di assenza, nell’area milanese risulta essere diminuito il gap tra i tassi di assenza maschili - in lieve aumento - e femminili (scesi al 9,2% dal 10,9% del 2010).

Salari e stipendi meglio dell’inflazione
I livelli retributivi dell’area milanese riflettono gli elevati standard professionali dei lavoratori che operano in questo territorio.
La retribuzione - comprensiva della parte fissa (RAL, Retribuzione Annua Lorda) e di quella variabile - sfiora mediamente i 38.000 euro, e varia tra i 26.000 euro medi degli operai, i 36.000 euro degli impiegati e i 60.000 dei quadri. Questa retribuzione, relativa all’addetto medio, non comprende quella dei dirigenti, che si attesta sui 114.000 euro.
Nel 2011 è aumentata, tra le imprese milanesi, la diffusione di politiche retributive basate sull’erogazione di premi in forma variabile, strumento che risulta ormai utilizzato da 6 imprese su 10. Per chi ne ha usufruito - circa l’80% dei lavoratori inquadrati tra operai, impiegati e quadri, secondo l’indagine - la parte variabile rappresenta una quota non trascurabile della retribuzione totale: in media il 6,6%.
Tra i dirigenti l’erogazione di premi variabili appare più selettiva, ma anche più premiante: nel 2011 hanno ottenuto un premio variabile meno del 40% dei dirigenti, cui sono stati riconosciuti importi che mediamente arrivano a pesare per il 15% sulle loro retribuzioni.
In un terzo delle imprese milanesi, soprattutto le grandi e quelle del settore manifatturiero, è presente la contrattazione collettiva aziendale.
Nel 2011 salari e stipendi sono aumentati in termini reali, cioè più del tasso d’inflazione (che nella media dell’anno ha raggiunto il 2,8%): l’incremento è stato del 3%, ed è stato l’effetto non solo delle scadenze previste dai CCNL (che hanno contribuito in misura pari all’1,6%), ma anche di interventi di politica retributiva condotti dalle imprese a livello decentrato attraverso aumenti di merito.

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