Nell'ambito di un contratto di soccida semplice - cioè l'istituto giuridico in cui il soccidante e il soccidario si associano per l'allevamento e lo sfruttamento di una certa quantità di bestiame e per l'esercizio delle attività connesse, al fine di ripartire l'accrescimento del bestiame e gli altri prodotti e utili che ne derivano (art. 2170 c.c.) - al termine di ogni ciclo, il soccidante acquista dal soccidario la quota di accrescimento spettante a quest'ultimo, per rivenderla direttamente al macello.
Ai fini IVA, la vendita della quota di accrescimento da parte del soccidario, a favore dell'Istante e/o di un terzo, ancorché fatturata, non può da sola suffragare l'esistenza di una soccida semplice quando la stima e la divisione dell'accrescimento, sebbene previste contrattualmente, non sono mai avvenute nella realtà e non trovano riscontro nelle relative scritture contabili, unitamente ai relativi criteri di individuazione, ripartizione, valutazione e prelevamento.
Ai fini delle II.DD., invece, la rivendita della quota di accrescimento non dà luogo, in capo alla soccidante, a redditi agrari, ma a redditi d'impresa da determinare analiticamente.