La contraffazione c’è anche se non si vede

“Chiunque pone in vendita o mette altrimenti in circolazione opere dell'ingegno o prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri, atti a indurre in inganno il compratore sull'origine, provenienza o qualità dell'opera o del prodotto, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a ventimila euro”.

Questo è quanto stabilito dall’art. 517 del Codice penale, disposizione che certamente non lascia molti spazi interpretativi, punendo in maniera forte e incisiva una fattispecie ben inquadrata dal nostro legislatore.

Dottrina maggioritaria ritiene che la norma in esame non richieda il compimento di atti fraudolenti o dissimulatori, ma solamente un’attitudine di tali atti ad indurre in errore il consumatore, risultando sufficiente - ad esempio - anche un'imitazione generica del prodotto, la quale deve essere valutata in riferimento al cosiddetto consumatore medio, che tendenzialmente, effettuando acquisiti con celerità, non presta troppa attenzione alle caratteristiche dei prodotti.

Si considerano rientranti nella fattispecie in esame anche la semplice esposizione della merce, l'offerta nei listini o la detenzione in magazzino.

E proprio su quest’ultimo caso è intervenuto il Tribunale di Genova, con la sentenza del 6 dicembre 2016 n. 6284, che nell’ottica di una sempre più crescente tutela del consumatore, ha rafforzato una previsione di legge come quella precedente, che sicuramente non presentava alcun gap dal punto di vista della tutela.

Il Tribunale, condannando il rappresentante legale di una S.r.l a due mesi di reclusione e 10.000 euro di multa per aver messo in vendita prodotti contraffatti dopo averli importati dalla Cina, ha stabilito che, nell'ambito dell'industria e del commercio, integra il reato di “vendita di prodotti industriali con segni mendaci” anche la semplice disponibilità in magazzino dei beni per la clientela.

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